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Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma " La Porticus Aemilia regala un giardino a Testaccio"
Testo del comunicato
Nel 2010 era un'area abbandonata nel cuore di Testaccio, coperta di sterpi e immondizia. "In tre
anni - racconta l'archeologo Renato Sebastiani - la Soprintendenza ha portato a termine un progetto
di pulizia, recinzione, scavo e documentazione. Ora restituiremo al rione un'area che presto
diventerà un attraversamento pedonale pubblico, nel verde. Le strutture archeologiche rinvenute, di
grandissimo interesse scientifico, saranno protette e ricoperte fra pochi giorni. Restano importanti
indicazioni archeologiche e la gratitudine nei confronti dei tanti testaccini che ogni giorno si sono
affacciati e hanno manifestato interesse e partecipazione alle attività di scavo". L’operazione di
recupero e bonifica dell’area è stata condotta tra il 2010 e il 2011 in collaborazione con il I
Municipio, mentre l’attività di scavo e documentazione è stata condotta tra il 2011 e il 2013 con il
Reale Istituto Neerlandese di Roma, con la co-direzione del prof Gert-Jan Burgers.
La scena è questa. Via Vespucci: le imponenti arcate sono i resti della navata XVI, una delle
cinquanta che costituivano la Porticus Aemilia, un gigantesco edificio di 487 metri x 60, compreso
tra le attuali vie Franklin, Marmorata, Branca e Vespucci. All'inizio del II sec. a. C. la pianura
dell'attuale rione Testaccio, fuori dalle Mura Serviane, divenne la sede di un sistema di infrastrutture
- tra i quali la Porticus e l'antistante nuovo porto fluviale, l'Emporium – destinato a far fronte alle
esigenze di una città in espansione, alla quale non bastava più l'approvvigionamento assicurato
dall'approdo al Campo Boario.
Il porto fluviale e la Porticus Aemilia hanno operato per circa 8 secoli, fino al VI d.C. Nel corso dei
secoli l’immenso edificio è stato oggetto di diversi cambiamenti e adattamenti interni ed esterni
testimoniati anche dai due ambienti emersi nella navata XVI nel corso delle campagne di scavo
condotte tra il 2011 e il 2013. Le strutture individuate risalgono all’età imperiale, probabilmente
alla fine del II sec. d.C., e si caratterizzano per pareti intonacate e una pavimentazione particolare,
che poggia su muretti continui in laterizi, un sistema ad alveare (suspensurae) utilizzato in antico
per indurre una circolazione dell'aria tale da regolare la temperatura e l’umidità del locale
soprastante. Tali elementi lasciano pensare ad un magazzino (horreum) per derrate alimentari
soggette allo sviluppo di calore per fermentazione, quali i cereali. A rafforzare questa ipotesi,
giunge il ritrovamento di resti carbonizzati di chicchi di farro – ingrediente fondamentale nella
preparazione del pane romano.
I ritrovamenti testimoniano in età imperiale una funzione di magazzino, almeno per una parte della
Porticus; certo si trattava di uno degli edifici più vicini a uno dei principali scali della città più
importante dell'impero. Che risulta fosse abitata da circa 900mila individui al tempo di Augusto (I
sec. d.C.), diventati quasi 1 milione e mezzo appena un secolo dopo, sotto Traiano. Oltre ai cereali,
dovevano arrivare con grande frequenza tutti i beni di consumo: olio, vino, datteri, garum - la salsa
di pesce essenziale per la gastronomia dell'epoca - spezie orientali, legnami, pietre semilavorate. Ne
resta testimonianza anche nella topografia: ancora nel medioevo, accanto alla Porticus Aemilia si
collocava la Ripa Marmorata, oggi via Marmorata, nel punto in cui anticamente si trovavano le
banchine per lo scarico, dalle imbarcazioni che risalivano il Tevere, dei marmi cavati o già sbozzati.
Lo scavo del 2013, condotto per il terzo anno insieme al Reale Istituto Neerlandese a Roma, ha
svolto indagini anche sul lato esterno delle arcate oggi visibili da via Vespucci. In particolare,
lungo il muro di fondo, sono stati scoperti due ambienti, con murature in opera mista di blocchetti
di tufo e tegole, che si addossano all’imponente edificio, probabilmente realizzati verso la fine del II
sec. d.C. All'esterno degli ambienti è stata individuata un’area esterna ad essi coeva, caratterizzata
dalla presenza di una fontana, della fogna sottostante, di una strada basolata e di una condotta
d'acqua (fistula) di cui si conservano due tratti originari, datati dalla presenza di un bollo al 195 d.C.
e uno centrale frutto di un restauro molto più tardo ma non ancora datato con esattezza. Una soglia
di travertino, riconoscibile dall'alloggiamento per i cardini, riutilizzata per chiudere l’imboccatura
della fogna, documenta a sua volta un intervento di sistemazione. Entrambi sono esempi di come
nell'antichità si ricorresse spesso al riuso, riducendo al minimo lo spreco di materiali. Dalle pareti
del saggio affiorano pezzi di anfore provenienti da tutti i paesi del Mediterraneo.
Lo scavo dei livelli di abbandono dei due ambienti ha infine restituito tre sepolture in anfore
risalenti al V e al VI secolo. Il loro ritrovamento documenta non solo l’abbandono dell’edificio ma
anche la progressiva ruralizzazione dell’intero quartiere tra il V e il VI secolo d.C.
I risultati di questa indagine archeologica saranno inseriti all'interno del Museo Diffuso del Rione
Testaccio, progetto impostato dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma per
documentare e illustrare - sul web (http://romearcheomedia.fub.it/testaccio/italiano/index.html), su
AppleStore (iTestaccio) e sui pannelli informativi disseminati nel quartiere - la particolare
concentrazione di resti archeologici, architetture, edifici e luoghi storici che i 60 ettari del rione
hanno ospitato dall'antichità a oggi, in una continua alternanza di scenari ora urbani ora rurali.
L’iniziativa, tuttavia, non vuole limitarsi ad un intervento chiuso e definito ma vuole offrire un
contenitore aperto alla riflessione e alle iniziative volte a valorizzare la storia, il patrimonio e il
particolare coacervo di stimoli culturali, artistici e sociologici che animano il Rione stesso.
Scheda 1- La Porticus Aemilia
L’edificio identificato come Porticus Aemilia, situato nei pressi del Tevere, era collegato al porto
della Roma repubblicana. Misurava 487 x 60 m ed era suddiviso in 50 navate larghe 8,30 m
ciascuna, coperte da volte a botte e digradanti verso il Tevere. Nel 193 a.C. gli edili curuli Marco
Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo iniziarono la costruzione di un nuovo porto (Emporium) e di
un retrostante edificio la Porticus Aemilia. La sua costruzione venne ultimata nel 174 a.C. dai
censori Quinto Fulvio Flacco e Aulo Postumio Albino. L'alzato dell’edificio era in opera incerta di
tufo, e rappresenta uno dei più antichi casi di impiego di questa tecnica costruttiva a Roma.
Tradizionalmente considerato un magazzino per lo stoccaggio delle merci, è nel tempo stato oggetto
di diverse ipotesi funzionali fra cui quelle di struttura per il controllo fiscale dei beni e/o per la loro
distribuzione. Una recente ipotesi, basata su considerazioni di natura epigrafica, topografica e
costruttiva e su alcuni confronti greci di età ellenistica, identifica l'edificio con le antiche darsene
militari sul Tevere (navalia), successivamente rifunzionalizzate e adibite allo stoccaggio delle merci.
Le indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici di Roma in
collaborazione con il KNIR (Reale Istituto Neerlandese a Roma) a partire dal 2011, hanno portato
alla luce risultati interessanti circa l’utilizzo della Porticus nel corso dei secoli.
Dalla fine del I d.C.-inizio II d.C. furono realizzati interventi di restauro in opera mista di laterizi e
blocchetti di tufo, connessi probabilmente alla necessità di rendere più funzionali le grandi navate,
suddividendole in vani più piccoli. Ad oggi lo scavo non ha fornito dati utili a sostegno dell’ipotesi
che identifica l’edificio con i Navalia.
I resti monumentali della c.d. Porticus Aemilia hanno caratterizzato nei secoli, insieme al Monte
Testaccio e alle Mura Aureliane, il paesaggio della pianura subaventina e sono in una buona parte
ancora riconoscibili lungo le vie Florio, Branca, Rubattino e Vespucci.
Scheda 2 - I reperti ceramici
I reperti più numerosi, dato il contesto, sono rappresentati dalle anfore destinate a derrate alimentari
liquide, quali olio, vino e salse di pesce, provenienti da tutto il Mediterraneo, da Oriente a
Occidente. Ma è stata la ceramica fine e comune da mensa e da dispensa a circoscrivere alcune
datazioni, individuando le fasi salienti della vita della Porticus in epoca imperiale (sec. I-III d.C), quando essa fu rioccupata da strutture di immagazzinamento e stoccaggio, nonché del successivo
abbandono dell'edificio in età tardo-antica (sec. IV-V d.C).
Nei livelli imperiali di fondazione e di costruzione della cella di magazzino interna alla XVI navata della Porticus sono stati trovati quasi esclusivamente contenitori egeo-orientali di produzione rodia e siropalestinese, in una proporzione che trova riscontri solo in altre aree commerciali della
città, relativo all'arrivo di prodotti vinari, ma forse anche di datteri e conserve dall'area orientale.
In epoca tardo-antica, invece, le anfore più attestate, come il resto della ceramica, sono di
produzione africana. Esse, secondo un uso diffuso in antico, vengono utilizzate anche
nell'apprestamento di alcune modeste sepolture site all'esterno della Porticus ed immediatamente a
ridosso di essa. Si tratta sia di uno spatheion, una piccola anfora tarda destinata ad una sepoltura
infantile, che di contenitori di grandi dimensioni, caratterizzati da forme inedite e prive di confronti
(v. immagine: Sepoltura in due anfore africane). In questo caso i reperti testimoniano il riuso dei
contenitori per una destinazione del tutto diversa da quella primaria.
IL GRUPPO DI RICERCA: Renato Sebastiani e Gert-Jan Burgers (direzione scientifica); Carlo
Rosa (ricerche geo-archeologiche); Evelyne Bukowiecky (archeologia della costruzione);
Raphaelle-Anne Kok, Sara Della Ricca, Valerio de Leonardis, Franco Tella (responsabili di saggio);
Alessia Contino, Lucilla D’Alessandro (responsabili dei materiali e del magazzino).
Per informazioni Cristiano Brughitta 338 8878816
anni - racconta l'archeologo Renato Sebastiani - la Soprintendenza ha portato a termine un progetto
di pulizia, recinzione, scavo e documentazione. Ora restituiremo al rione un'area che presto
diventerà un attraversamento pedonale pubblico, nel verde. Le strutture archeologiche rinvenute, di
grandissimo interesse scientifico, saranno protette e ricoperte fra pochi giorni. Restano importanti
indicazioni archeologiche e la gratitudine nei confronti dei tanti testaccini che ogni giorno si sono
affacciati e hanno manifestato interesse e partecipazione alle attività di scavo". L’operazione di
recupero e bonifica dell’area è stata condotta tra il 2010 e il 2011 in collaborazione con il I
Municipio, mentre l’attività di scavo e documentazione è stata condotta tra il 2011 e il 2013 con il
Reale Istituto Neerlandese di Roma, con la co-direzione del prof Gert-Jan Burgers.
La scena è questa. Via Vespucci: le imponenti arcate sono i resti della navata XVI, una delle
cinquanta che costituivano la Porticus Aemilia, un gigantesco edificio di 487 metri x 60, compreso
tra le attuali vie Franklin, Marmorata, Branca e Vespucci. All'inizio del II sec. a. C. la pianura
dell'attuale rione Testaccio, fuori dalle Mura Serviane, divenne la sede di un sistema di infrastrutture
- tra i quali la Porticus e l'antistante nuovo porto fluviale, l'Emporium – destinato a far fronte alle
esigenze di una città in espansione, alla quale non bastava più l'approvvigionamento assicurato
dall'approdo al Campo Boario.
Il porto fluviale e la Porticus Aemilia hanno operato per circa 8 secoli, fino al VI d.C. Nel corso dei
secoli l’immenso edificio è stato oggetto di diversi cambiamenti e adattamenti interni ed esterni
testimoniati anche dai due ambienti emersi nella navata XVI nel corso delle campagne di scavo
condotte tra il 2011 e il 2013. Le strutture individuate risalgono all’età imperiale, probabilmente
alla fine del II sec. d.C., e si caratterizzano per pareti intonacate e una pavimentazione particolare,
che poggia su muretti continui in laterizi, un sistema ad alveare (suspensurae) utilizzato in antico
per indurre una circolazione dell'aria tale da regolare la temperatura e l’umidità del locale
soprastante. Tali elementi lasciano pensare ad un magazzino (horreum) per derrate alimentari
soggette allo sviluppo di calore per fermentazione, quali i cereali. A rafforzare questa ipotesi,
giunge il ritrovamento di resti carbonizzati di chicchi di farro – ingrediente fondamentale nella
preparazione del pane romano.
I ritrovamenti testimoniano in età imperiale una funzione di magazzino, almeno per una parte della
Porticus; certo si trattava di uno degli edifici più vicini a uno dei principali scali della città più
importante dell'impero. Che risulta fosse abitata da circa 900mila individui al tempo di Augusto (I
sec. d.C.), diventati quasi 1 milione e mezzo appena un secolo dopo, sotto Traiano. Oltre ai cereali,
dovevano arrivare con grande frequenza tutti i beni di consumo: olio, vino, datteri, garum - la salsa
di pesce essenziale per la gastronomia dell'epoca - spezie orientali, legnami, pietre semilavorate. Ne
resta testimonianza anche nella topografia: ancora nel medioevo, accanto alla Porticus Aemilia si
collocava la Ripa Marmorata, oggi via Marmorata, nel punto in cui anticamente si trovavano le
banchine per lo scarico, dalle imbarcazioni che risalivano il Tevere, dei marmi cavati o già sbozzati.
Lo scavo del 2013, condotto per il terzo anno insieme al Reale Istituto Neerlandese a Roma, ha
svolto indagini anche sul lato esterno delle arcate oggi visibili da via Vespucci. In particolare,
lungo il muro di fondo, sono stati scoperti due ambienti, con murature in opera mista di blocchetti
di tufo e tegole, che si addossano all’imponente edificio, probabilmente realizzati verso la fine del II
sec. d.C. All'esterno degli ambienti è stata individuata un’area esterna ad essi coeva, caratterizzata
dalla presenza di una fontana, della fogna sottostante, di una strada basolata e di una condotta
d'acqua (fistula) di cui si conservano due tratti originari, datati dalla presenza di un bollo al 195 d.C.
e uno centrale frutto di un restauro molto più tardo ma non ancora datato con esattezza. Una soglia
di travertino, riconoscibile dall'alloggiamento per i cardini, riutilizzata per chiudere l’imboccatura
della fogna, documenta a sua volta un intervento di sistemazione. Entrambi sono esempi di come
nell'antichità si ricorresse spesso al riuso, riducendo al minimo lo spreco di materiali. Dalle pareti
del saggio affiorano pezzi di anfore provenienti da tutti i paesi del Mediterraneo.
Lo scavo dei livelli di abbandono dei due ambienti ha infine restituito tre sepolture in anfore
risalenti al V e al VI secolo. Il loro ritrovamento documenta non solo l’abbandono dell’edificio ma
anche la progressiva ruralizzazione dell’intero quartiere tra il V e il VI secolo d.C.
I risultati di questa indagine archeologica saranno inseriti all'interno del Museo Diffuso del Rione
Testaccio, progetto impostato dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma per
documentare e illustrare - sul web (http://romearcheomedia.fub.it/testaccio/italiano/index.html), su
AppleStore (iTestaccio) e sui pannelli informativi disseminati nel quartiere - la particolare
concentrazione di resti archeologici, architetture, edifici e luoghi storici che i 60 ettari del rione
hanno ospitato dall'antichità a oggi, in una continua alternanza di scenari ora urbani ora rurali.
L’iniziativa, tuttavia, non vuole limitarsi ad un intervento chiuso e definito ma vuole offrire un
contenitore aperto alla riflessione e alle iniziative volte a valorizzare la storia, il patrimonio e il
particolare coacervo di stimoli culturali, artistici e sociologici che animano il Rione stesso.
Scheda 1- La Porticus Aemilia
L’edificio identificato come Porticus Aemilia, situato nei pressi del Tevere, era collegato al porto
della Roma repubblicana. Misurava 487 x 60 m ed era suddiviso in 50 navate larghe 8,30 m
ciascuna, coperte da volte a botte e digradanti verso il Tevere. Nel 193 a.C. gli edili curuli Marco
Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo iniziarono la costruzione di un nuovo porto (Emporium) e di
un retrostante edificio la Porticus Aemilia. La sua costruzione venne ultimata nel 174 a.C. dai
censori Quinto Fulvio Flacco e Aulo Postumio Albino. L'alzato dell’edificio era in opera incerta di
tufo, e rappresenta uno dei più antichi casi di impiego di questa tecnica costruttiva a Roma.
Tradizionalmente considerato un magazzino per lo stoccaggio delle merci, è nel tempo stato oggetto
di diverse ipotesi funzionali fra cui quelle di struttura per il controllo fiscale dei beni e/o per la loro
distribuzione. Una recente ipotesi, basata su considerazioni di natura epigrafica, topografica e
costruttiva e su alcuni confronti greci di età ellenistica, identifica l'edificio con le antiche darsene
militari sul Tevere (navalia), successivamente rifunzionalizzate e adibite allo stoccaggio delle merci.
Le indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici di Roma in
collaborazione con il KNIR (Reale Istituto Neerlandese a Roma) a partire dal 2011, hanno portato
alla luce risultati interessanti circa l’utilizzo della Porticus nel corso dei secoli.
Dalla fine del I d.C.-inizio II d.C. furono realizzati interventi di restauro in opera mista di laterizi e
blocchetti di tufo, connessi probabilmente alla necessità di rendere più funzionali le grandi navate,
suddividendole in vani più piccoli. Ad oggi lo scavo non ha fornito dati utili a sostegno dell’ipotesi
che identifica l’edificio con i Navalia.
I resti monumentali della c.d. Porticus Aemilia hanno caratterizzato nei secoli, insieme al Monte
Testaccio e alle Mura Aureliane, il paesaggio della pianura subaventina e sono in una buona parte
ancora riconoscibili lungo le vie Florio, Branca, Rubattino e Vespucci.
Scheda 2 - I reperti ceramici
I reperti più numerosi, dato il contesto, sono rappresentati dalle anfore destinate a derrate alimentari
liquide, quali olio, vino e salse di pesce, provenienti da tutto il Mediterraneo, da Oriente a
Occidente. Ma è stata la ceramica fine e comune da mensa e da dispensa a circoscrivere alcune
datazioni, individuando le fasi salienti della vita della Porticus in epoca imperiale (sec. I-III d.C), quando essa fu rioccupata da strutture di immagazzinamento e stoccaggio, nonché del successivo
abbandono dell'edificio in età tardo-antica (sec. IV-V d.C).
Nei livelli imperiali di fondazione e di costruzione della cella di magazzino interna alla XVI navata della Porticus sono stati trovati quasi esclusivamente contenitori egeo-orientali di produzione rodia e siropalestinese, in una proporzione che trova riscontri solo in altre aree commerciali della
città, relativo all'arrivo di prodotti vinari, ma forse anche di datteri e conserve dall'area orientale.
In epoca tardo-antica, invece, le anfore più attestate, come il resto della ceramica, sono di
produzione africana. Esse, secondo un uso diffuso in antico, vengono utilizzate anche
nell'apprestamento di alcune modeste sepolture site all'esterno della Porticus ed immediatamente a
ridosso di essa. Si tratta sia di uno spatheion, una piccola anfora tarda destinata ad una sepoltura
infantile, che di contenitori di grandi dimensioni, caratterizzati da forme inedite e prive di confronti
(v. immagine: Sepoltura in due anfore africane). In questo caso i reperti testimoniano il riuso dei
contenitori per una destinazione del tutto diversa da quella primaria.
IL GRUPPO DI RICERCA: Renato Sebastiani e Gert-Jan Burgers (direzione scientifica); Carlo
Rosa (ricerche geo-archeologiche); Evelyne Bukowiecky (archeologia della costruzione);
Raphaelle-Anne Kok, Sara Della Ricca, Valerio de Leonardis, Franco Tella (responsabili di saggio);
Alessia Contino, Lucilla D’Alessandro (responsabili dei materiali e del magazzino).
Per informazioni Cristiano Brughitta 338 8878816
© 2021 MiC - Pubblicato il 2020-10-27 22:27:34 / Ultimo aggiornamento 2020-10-27 22:27:34