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PARERE UFFICIO LEGISLATIVO MIBACT: Autorizzazione paesaggistica e sanatoria edilizia (accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380 del 2001).
Testo del comunicato
Si riscontra la nota del 12 febbraio 2016 con la quale codesto Comune ha prospettato la tesi dell'inapplicabilità della sanatoria edilizia (ex art. 36 del testo unico n. 380 del 2001) per gli interventi abusivi posti in essere prima dell'apposizione del vincolo paesaggistico "realizzanti un aumento di superficie utile o di volume e quindi contrastanti con l'art. 167, 4° comma del Dlgs 42/2004".
Il quesito è stato proposto a seguito della nota n. 558474 del 5 agosto 2015 con la quale la Regione Emilia-Romagna si è pronunciata in senso opposto, affermando che "il nulla osta paesaggistico, mentre è obbligatorio per i casi di condono edilizio anche nelle ipotesi di vincolo sopravvenuto, non possa essere applicato in via analogica ai procedimenti di sanatoria edilizia di cui agli artt. 17 o 17bis della L. R. n. 23 del 2004".
L'organo legale di codesto Comune, con il parere espresso in data 17 settembre 2015, contestando quanto sostenuto dalla Regione, ritiene, invece, che "in subiecta materia si debba avere riguardo al regime vincolistico sussistente alla data di esame della domanda di sanatoria, secondo il principio tempus regit actum ", effettuando, quindi, la valutazione della compatibilità paesaggistica dell'intervento edilizio in conformità alle disposizioni di cui all'art. 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio, con la conclusione restrittiva per cui 'l'intervento potrà essere sanato solo quando rientri nei casi tassativamente indicati dal cit. art. 167".
Ad avviso dello scrivente Ufficio il parallelismo tra condono edilizio (regime eccezionale diretto a "sanare" abusi anche sostanziali) e accertamento di conformità ex art. 36 TUE eit. (regime ordinario diretto a "sanare" abusi edilizi solo formali) può essere senz'altro condiviso, quanto alla rilevanza e alla necessaria presa in considerazione del vincolo paesaggistico sopravvenuto, ma occorre chiarire bene il modo di tale rilevanza e la procedura appropriata per tale presa in considerazione, onde evitare esiti aberranti e palesemente sproporzionati.
E' senz'altro estendibile alla procedura di accertamento di conformità il principio, sancito dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la nota sentenza n. 20 del 1999 in materia di condono edilizio, della rilevanza del vincolo paesaggistico sopravvenuto alla commissione dell'abuso, ma antecedente al momento della decisione della domanda di sanatoria. Tale estensione, oltre che per le ragioni illustrate dal Giudice amministrativo, si giustifica anche perché in entrambi i casi il soggetto che presenta la domanda versa in una condizione di illiceità che lo rende fisiologicamente esposto alle sopravvenienze sfavorevoli. Non c'è dubbio, quindi, sul fatto che l'autorità procedente debba necessariamente prendere in considerazione il vincolo paesaggistico sopravvenuto e debba completare l'istruttoria sulla domanda di sanatoria, preordinata alla sua decisione, provvedendo ad acquisire anche le pertinenti valutazioni di compatibilità paesaggistica rispetto alla conservazione dell'opera edilizia abusiva, alla stregua del vincolo sopravvenuto. Ma il punto risolutivo della questione risiéde nel modo in cui tale valutazione di compatibilità paesaggistica rispetto al vincolo sopravvenuto dovrà avvenire.
Sostenere, come sostiene il Comune di Bologna, che tale valutazione debba avvenire nei modi e con i limiti (stringenti) di cui all'art. 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio (ossia che, in ossequio al divieto di sanatoria paesaggistica ex post, la domanda debba essere considerata inammissibile ogni qualvolta sussistano aumenti di superficie utile o di volume) significa ritenere (non condivisibilinente) che la fattispecie oggetto di valutazione costituisca propriamente parlando un "illecito paesaggistico" da sanare (dal che la ritenuta applicabilità del combinato disposto degli arte. 146, comma 4, e 167, comma 4, del citato codice di settore), lì dove, invece, a ben vedere, in una fattispecie del genere di quella qui ipotizzata e oggetto di discussione, non sussiste alcuna ipotesi di illecito paesaggistico, per la semplice e risolutiva ragione che, al momento dell'infrazione (edilizia), non sussisteva alcun vincolo paesaggistico.
Alla luce di questo preliminare e fondamentale chiarimento, è agevole rilevare come sarebbe del tutto inappropriato e illegittimo trattare la fattispecie di accertamento di conformità edilizia, ex art. 36 TUE, riguardo a un illecito (solo) edilizio, alla stessa stregua di un illecito paesaggistico, in realtà mai verificatosi e del tutto inconfigurabile, atteso che non può certo "imputarsi" al soggetto un illecito consistente nella violazione di una norma (paesaggistica) che non esisteva ancora nell'ordinamento giuridico al momento della condotta e della commissione del fatto illecito oggetto di esame.
Qual è dunque il modo "corretto" per acquisire le doverose valutazioni di compatibilità paesaggistica di quanto abusivamente realizzato prima dell'introduzione del vincolo paesaggistico? L'unico canone di legge al riguardo utile è evidentemente costituito dall'ordinario procedimento delineato dall'art. 146 del codice (escluso il divieto di sanatoria ex post stabilito dal comma 4 che, come detto, vale solo per le violazioni paesaggistiche e non può trovare applicazione in un caso di insussistenza dell'illecito paesaggistico). In buona sostanza, analogamente a quanto avviene in base all'art. 32 della legge n. 47 del 1985 in materia di condono edilizio, per come interpretata dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 1999, la valutazione di compatibilità paesaggistica dovrà avvenire, da parte del'autorità preposta alla gestione del vincolo sopravvenuto, estesamente su tutto l'abuso commesso, senza le limitazioni speciali imposte dagli arti. 146, comma 4, e 167, comma 4, per i soli casi di violazioni paesaggistiche (non sanabili ex post se non entro gli stretti limiti ivi stabiliti).
Questa ipotesi ricostruttiva sembra trovare il conforto della giurisprudenza in base al principio di "certezza delle regole".
Come già osservato da questo Ufficio in un recente parere reso sempre in tema di autorizzazione paesaggistica in sanatoria (nota prot. n. 30815 del 16 dicembre 2015), il Consiglio di Stato (sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4759) ha annullato un parere soprintendentizio del 2013 (che aveva negato la sanatoria paesaggistica, ai sensi dell'art. 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio, poiché l'intervento aveva comportato la realizzazione di nuove superfici e nuovi volumi) facendo leva sulla circostanza che il procedimento autoriz7atorio per l'esecuzione dell'intervento non necessitava, all'epoca di presentazione dell'istanza, del parere della competente Soprintendenza, sulla considerazione per cui se "poi la normativa sia medio tempore mutata — nei sensi anzidetti, prima della data di adozione del permesso di costruire - è circostanza che non elide il profilo dell'affidamento riposto dal privato riguardo alla sua pretesa ad ottenere il titolo a costruire, come in effetti avvenuto".
In conclusione, ad avviso dello scrivente Ufficio legislativo, la soluzione della questione riguardante il regime dell'accertamento di conformità edilizia ai sensi dell'art. 36 del testo unico di settore nel caso di vincolo paesaggistico intervenuto successivamente alla realizzazione dell'intervento edilizio si può così risolvere:
- non sussistendo un illecito paesaggistico, non ricorrono i presupposti per l'applicazione della disciplina sanzionatoria di cui agli artt. 146, comma 4, e 167 del codice, né dei limiti di ammissibilità della procedura di accertamento della compatibilità paesaggistica di cui al comma 4 dell'art. 167, applicabili ai soli casi di sanatoria di illeciti paesaggistici;
- non ricorre, pertanto, in una tale vicenda giuridica, l'ipotesi di divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, in quanto il caso in esame non ricade sotto il divieto di sanatoria (art. 146, comma 4, e art. 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio);
- la cosiddetta "doppia conformità" richiesta dall'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 impone che l'intervento edilizio - originariamente lecito dal punto di vista della normativa paesaggistica - dovendo essere conforme anche alla disciplina urbanistica ed edilizia, nonché paesaggistica vigenti al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovrà essere sottoposto, comunque, alla verifica di compatibilità paesaggistica, ma secondo le modalità e con la disciplina dell'art. 146 del codice.
Roma, 27 aprile 2016
Il Capo dell'Ufficio Legislativo
Con. Paolo Carpentieri
(in allegato il documento PDF a firma del Capo Ufficio Legislativo)
Documentazione:
Parere del 27 Aprile 2016
(documento in formato pdf, peso 277 Kb, data ultimo aggiornamento: 28 aprile 2016 )
© 2021 MiC - Pubblicato il 2020-10-27 22:29:00 / Ultimo aggiornamento 2020-11-02 10:56:27