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Intervento del Ministro Sandro Bondi in occasione della Conferenza Stampa di presentazione delle assegnazione di risorse statali agli Enti e alle Istituzioni Culturali
Testo del comunicato
Il mio compito in questi due anni non è stato semplice.
Mi sono mosso - per così dire – in un territorio nemico e doppiamente accidentato.
Da un lato, la persistenza per lo meno a livello corporativo di un’antica egemonia di sinistra, dall’altro l’impostazione statalista del finanziamento della cultura, reso ancora più evidente dalle ristrettezze della crisi.
In qualche modo, tuttavia, la crisi ha rappresentato anche un’opportunità, un’occasione per affrontare alla radice il problema del rapporto tra l’attività culturale e il finanziamento dello Stato.
In Italia, inoltre, i problemi da affrontare sono anche altri: il modo di tradurre in pratica la sfida del federalismo, il modo di affrontare una realtà policentrica anche nel campo delle istituzioni culturali, il rapporto tra beni culturali e sviluppo economico.
Ho cercato di affrontare tutti questi nodi. Prima con la speranza che la sinistra comprendere il valore positivo di una alleanza a favore della cultura, poi da solo perché tutti i ponti che ho cercato di costruire sono stati fatti crollare.
1) La questione del federalismo ha posto la questione principale della funzione e dei compiti di questo ministero.
Ho difeso strenuamente il principio che la tutela restasse saldamente nelle mani dello Stato centrale. Già in sede di redazione della legge delega sul federalismo, la legge n. 42 del 2009, a proposito della norma su Roma capitale (art. 24), ho voluto che le funzioni di tutela del patrimonio archeologico, storico, artistico e architettonico di Roma restassero intestate al Ministero. Agli enti locali abbiamo invece giustamente riconosciuto l’importante ruolo di concorso nella valorizzazione di questo inestimabile patrimonio. In sede di approvazione del recente decreto legislativo sul federalismo demaniale (decreto n. 85 del 2010) ho ottenuto che i beni culturali fossero esclusi dal trasferimento generalizzato (art. 5, comma 2) e il loro trasferimento alle autonomie territoriali fosse sempre subordinato al fine della migliore gestione e della massima fruizione pubblica dei beni, sulla base di appositi accordi tra il Ministero e i Comuni; ho preteso inoltre che questi trasferimenti dovessero essere attuati non contro, ma nel quadro e nel rispetto del codice dei beni culturali e del paesaggio (come previsto nell’art. 5, comma 5).
2) In merito al rapporto tra la tutela dei beni culturali e ambientali e lo sviluppo economico del Paese, questo Ministero ha cambiato fisionomia. Dal ministero dei NO, è diventato un Ministero che non frena lo sviluppo economico, ma lo rende possibile pur tutelando in maniera rigorosa il patrimonio storico e ambientale del Paese. Ad esempio, sono ormai 100 le procedure di impatto ambientale sbloccate dal Ministero dal 2008 ad oggi: tutte con pareri favorevoli dei soprintendenti e senza mai rivolgersi al consiglio dei ministri per superare qualsiasi parere. Nel rapporto tra tutela e semplificazione ho sempre perseguito l’obiettivo di una semplificazione ragionata e ragionevole, capace di coniugare le esigenze della tutela del patrimonio culturale con quelle della competitività e della riduzione del carico burocratico sui cittadini e sulle imprese. Ho accettato, in tal senso, nel recente decreto legge sulla manovra, una modifica normativa che rende applicabile il meccanismo acceleratorio della conferenza dei servizi anche ai soprintendenti, perché è giusto che l’amministrazione debba dare a un certo punto una risposta certa e univoca alla domanda di autorizzazione, ma ho anche preteso che fossero posti alcuni “paletti” a garanzia dell’effettiva partecipazione degli uffici periferici del Ministero. Mi sono invece opposto, e con successo, all’emendamento introduttivo della così detta SCIA (“segnalazione certificata di inizio di attività”), che avrebbe dovuto applicarsi anche alle autorizzazioni previste dal codice per gli interventi su beni culturali e paesaggistici; un emendamento di iniziativa parlamentare che negava la natura sensibile e qualificata degli interessi e dei valori di tutela del patrimonio culturale, che è stato infine ritirato per riaffermare il principio fondamentale per cui la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale devono accompagnare la crescita e lo sviluppo nella direzione giusta della qualità e della coerenza con l’identità culturale del Paese.
3) Riguardo all’impostazione statalista dei finanziamenti alla cultura, mi riconosco pienamente in un editoriale firmato dal professor Angelo Panebianco, secondo cui oggi la cultura è “cultura di Stato” nel senso che è interamente finanziata dallo Stato (appello al mecenatismo e alle classi dirigenti di questo Paese). Ecco tutto il mio impegno è rivolto a liberare la cultura dall’abbraccio soffocante dello Stato restituendo un ruolo alla società civile. Come stiamo facendo riguardo ai Teatri. Ad esempio.
4) Questa volontà riformatrice è rappresentata dal decreto di riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche, che è divenuto legge, dal disegno di legge sul cinema che presenterò al prossimo consiglio dei ministri, dalla riforma quadro dello spettacolo dal vivo d’iniziativa parlamentare in via di approvazione alla camera dei deputati, fino alla questione del finanziamento delle istituzioni culturali.
5) Per quanto riguarda il taglio ventilato agli istituti di cultura, ho scongiurato la soppressione di importanti realtà culturali e ora sono riuscito a lasciare sostanzialmente inalterato per l’anno in corso il contributo statale. L’abolizione dei contributi per i comitato celebrativi non credo francamente incida sulla cultura. Per il futuro, nel disegno di legge che presenterò in un prossimo consiglio dei ministri è contenuta una nuova disciplina per la concessione dei contributi pubblici, che sia trasparente e consenta di premiare poche istituzioni di grande prestigio, le cui performance culturali siano valutabili anche in una dimensione economicamente sostenibile. Come succede nei paesi anglosassoni, l’istituzione riceverà dallo Stato finanziamenti crescenti in rapporto alla capacità di attrarre capitali privati e di coinvolgere il mecenatismo nazionale e locale. E’ ovvio che è impensabile che la cultura regga nel mercato senza alcun sostegno ed è giusto che il valore vada misurato soprattutto con parametri non economici, ma trovo insensato come succede oggi che quanto più un’istituzione perde tanto più il disavanzo venga coperto dallo Stato. Un sistema oggi non solo insostenibile dal punto di vista economico, ma a mio parere perfino immorale.
6) Chi voglia giudicare senza pregiudizi il mio operato, si accorgerà che questo pensiero informa con coerenza tutte le riforme che sto cercando di rendere definitive.
7) In questo senso va la creazione di una nuova Direzione per la Valorizzazione affidata ad un manager come Mario Resca che sta dando i primi frutti in termini di aumento dei visitatori nei nostri musei e in termini di nuove regole per la gestione dei servizi aggiuntivi. Dopo tre anni di proroghe sono partite il 30 giugno le nuove gare d’appalto per il rinnovo dei concessionari museali che amplieranno il numero di operatori in competizione tra loro e quindi un auspicato miglioramento dei servizi per il pubblico (biglietterie, bar, bookshop…), nonché gli introiti che saranno poi messi a disposizione della conservazione del nostro patrimonio storico e artistico. E’ di ieri il nuovo accordo per la Pinacoteca e l’Accademia di Brera, che dopo 35 anni consentirà al principale museo statale di Milano di divenire la più grande istituzione culturale del nord Italia e competere con le principali realtà museali internazionali.
8) In questo senso va la riforma degli enti lirici, enti dal punto di vista della spesa completamente fuori controllo e con un passivo totale accumulato in questi anni preoccupante. Nonostante le falsità che vengono divulgate e i proclami di battaglia nonché gli scioperi irresponsabili di qualche giorno fa, come se la lirica fosse l’ultimo ridotto del sindacalismo lontano dalla realtà, chiunque conosca questo settore sa perfettamente che se non avessimo votato questa riforma, i teatri lirici sarebbero stati destinati al fallimento e questo malgrado ogni anno vengano sostenuti con centinaia di milioni di euro tra finanziamenti statali, locali e privati. E malgrado il costo di accesso per il pubblico rimanga a volte proibitivo. Dopo l’approvazione della nuova legge, ho già messo al lavoro i miei Uffici con il compito di presentare al Parlamento i regolamenti governativi, con l’aiuto di esperti del mondo della cultura.
9) In questo senso va la riforma del finanziamento al cinema che vedrà il rinnovo fino al 2013 del tax credit e del tax shelter, cioè un sistema di finanziamento indiretto attraverso la defiscalizzazione che premia chi è in grado di attrarre capitali privati e che non impone nessuna forma di “controllo” politico.
10) Dicevo all’inizio che la crisi è stata anche un’opportunità di cambiamento;
11) Le riforme erano e sono necessarie, ma ora si impone un’attenzione particolare verso la cultura.
12) Chiederò al Presidente del Consiglio che si svolga una riflessione approfondita sulla cultura in una seduta del governo e l’insediamento di un tavolo istituzionale, con la sua presenza, quella del dottor Letta, di alcuni ministri come quello degli Esteri, del turismo, e quella del ministro dell’economia.
13) Dobbiamo essere consapevoli delle riforme che abbiamo realizzato, ma anche che il rapporto con il mondo della cultura non è un problema che riguardi solo la mia persona, ma l’intero governo e la maggioranza nel suo complesso.
14) A questo tavolo presenterò delle proposte necessarie per continuare a lavorare lungo la strada delle riforme: in caso contrario le stese riforme rischieranno di fallire.
15) La prima questione che intendo porre è quella di un provvedimento coerente di defiscalizzazione dei contributi alla cultura. Qui bisogna essere chiari: non è una richiesta che costa: è un contributo che la cultura offre al Paese. Non voglio più che le nostre richieste siano ritenute delle spese. Non dobbiamo essere noi a chiedere, ma le istituzioni a riconoscere il contributo che il mondo della cultura offre allo sviluppo del Paese. 3 esempi: sapete che ogni anno oltre 6 milioni di persone visitano il Colosseo? Sapete che la mostra del Caravaggio alle scuderie del Quirinale ha avuto finora oltre 600mila visitatori? Sapete che la notte del Caravaggio ha attratto ben 25 mila persone?
16) Andremo avanti sulla strada del cambiamento. L’autonomia dei Musei (dal punto di vista gestionale e finanziario) e un Piano per il Sud che presenterò ai governatori delle Regioni del Mezzogiorno (fondi FAS e quelli POIN che non sono stati ancora spesi o vanno rimodulati secondo diverse esigenze).
17) Sempre per quanto riguarda il contributo che il mio ministero offre allo sviluppo del Paese, voglio ricordare i programmi culturali raggiunti a livello internazionale (cito solo l’anno della cultura cinese che si inaugura il prossimo ottobre, l’anno della cultura russa e della cultura italiano che si svolgerà nel 2011).
18) Infine, la questione del 150 anni dell’Unità d’Italia, il cui fulcro non saranno le opere edilizie, ma la cultura e la memoria culturale del nostro Paese.
Mi sono mosso - per così dire – in un territorio nemico e doppiamente accidentato.
Da un lato, la persistenza per lo meno a livello corporativo di un’antica egemonia di sinistra, dall’altro l’impostazione statalista del finanziamento della cultura, reso ancora più evidente dalle ristrettezze della crisi.
In qualche modo, tuttavia, la crisi ha rappresentato anche un’opportunità, un’occasione per affrontare alla radice il problema del rapporto tra l’attività culturale e il finanziamento dello Stato.
In Italia, inoltre, i problemi da affrontare sono anche altri: il modo di tradurre in pratica la sfida del federalismo, il modo di affrontare una realtà policentrica anche nel campo delle istituzioni culturali, il rapporto tra beni culturali e sviluppo economico.
Ho cercato di affrontare tutti questi nodi. Prima con la speranza che la sinistra comprendere il valore positivo di una alleanza a favore della cultura, poi da solo perché tutti i ponti che ho cercato di costruire sono stati fatti crollare.
1) La questione del federalismo ha posto la questione principale della funzione e dei compiti di questo ministero.
Ho difeso strenuamente il principio che la tutela restasse saldamente nelle mani dello Stato centrale. Già in sede di redazione della legge delega sul federalismo, la legge n. 42 del 2009, a proposito della norma su Roma capitale (art. 24), ho voluto che le funzioni di tutela del patrimonio archeologico, storico, artistico e architettonico di Roma restassero intestate al Ministero. Agli enti locali abbiamo invece giustamente riconosciuto l’importante ruolo di concorso nella valorizzazione di questo inestimabile patrimonio. In sede di approvazione del recente decreto legislativo sul federalismo demaniale (decreto n. 85 del 2010) ho ottenuto che i beni culturali fossero esclusi dal trasferimento generalizzato (art. 5, comma 2) e il loro trasferimento alle autonomie territoriali fosse sempre subordinato al fine della migliore gestione e della massima fruizione pubblica dei beni, sulla base di appositi accordi tra il Ministero e i Comuni; ho preteso inoltre che questi trasferimenti dovessero essere attuati non contro, ma nel quadro e nel rispetto del codice dei beni culturali e del paesaggio (come previsto nell’art. 5, comma 5).
2) In merito al rapporto tra la tutela dei beni culturali e ambientali e lo sviluppo economico del Paese, questo Ministero ha cambiato fisionomia. Dal ministero dei NO, è diventato un Ministero che non frena lo sviluppo economico, ma lo rende possibile pur tutelando in maniera rigorosa il patrimonio storico e ambientale del Paese. Ad esempio, sono ormai 100 le procedure di impatto ambientale sbloccate dal Ministero dal 2008 ad oggi: tutte con pareri favorevoli dei soprintendenti e senza mai rivolgersi al consiglio dei ministri per superare qualsiasi parere. Nel rapporto tra tutela e semplificazione ho sempre perseguito l’obiettivo di una semplificazione ragionata e ragionevole, capace di coniugare le esigenze della tutela del patrimonio culturale con quelle della competitività e della riduzione del carico burocratico sui cittadini e sulle imprese. Ho accettato, in tal senso, nel recente decreto legge sulla manovra, una modifica normativa che rende applicabile il meccanismo acceleratorio della conferenza dei servizi anche ai soprintendenti, perché è giusto che l’amministrazione debba dare a un certo punto una risposta certa e univoca alla domanda di autorizzazione, ma ho anche preteso che fossero posti alcuni “paletti” a garanzia dell’effettiva partecipazione degli uffici periferici del Ministero. Mi sono invece opposto, e con successo, all’emendamento introduttivo della così detta SCIA (“segnalazione certificata di inizio di attività”), che avrebbe dovuto applicarsi anche alle autorizzazioni previste dal codice per gli interventi su beni culturali e paesaggistici; un emendamento di iniziativa parlamentare che negava la natura sensibile e qualificata degli interessi e dei valori di tutela del patrimonio culturale, che è stato infine ritirato per riaffermare il principio fondamentale per cui la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale devono accompagnare la crescita e lo sviluppo nella direzione giusta della qualità e della coerenza con l’identità culturale del Paese.
3) Riguardo all’impostazione statalista dei finanziamenti alla cultura, mi riconosco pienamente in un editoriale firmato dal professor Angelo Panebianco, secondo cui oggi la cultura è “cultura di Stato” nel senso che è interamente finanziata dallo Stato (appello al mecenatismo e alle classi dirigenti di questo Paese). Ecco tutto il mio impegno è rivolto a liberare la cultura dall’abbraccio soffocante dello Stato restituendo un ruolo alla società civile. Come stiamo facendo riguardo ai Teatri. Ad esempio.
4) Questa volontà riformatrice è rappresentata dal decreto di riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche, che è divenuto legge, dal disegno di legge sul cinema che presenterò al prossimo consiglio dei ministri, dalla riforma quadro dello spettacolo dal vivo d’iniziativa parlamentare in via di approvazione alla camera dei deputati, fino alla questione del finanziamento delle istituzioni culturali.
5) Per quanto riguarda il taglio ventilato agli istituti di cultura, ho scongiurato la soppressione di importanti realtà culturali e ora sono riuscito a lasciare sostanzialmente inalterato per l’anno in corso il contributo statale. L’abolizione dei contributi per i comitato celebrativi non credo francamente incida sulla cultura. Per il futuro, nel disegno di legge che presenterò in un prossimo consiglio dei ministri è contenuta una nuova disciplina per la concessione dei contributi pubblici, che sia trasparente e consenta di premiare poche istituzioni di grande prestigio, le cui performance culturali siano valutabili anche in una dimensione economicamente sostenibile. Come succede nei paesi anglosassoni, l’istituzione riceverà dallo Stato finanziamenti crescenti in rapporto alla capacità di attrarre capitali privati e di coinvolgere il mecenatismo nazionale e locale. E’ ovvio che è impensabile che la cultura regga nel mercato senza alcun sostegno ed è giusto che il valore vada misurato soprattutto con parametri non economici, ma trovo insensato come succede oggi che quanto più un’istituzione perde tanto più il disavanzo venga coperto dallo Stato. Un sistema oggi non solo insostenibile dal punto di vista economico, ma a mio parere perfino immorale.
6) Chi voglia giudicare senza pregiudizi il mio operato, si accorgerà che questo pensiero informa con coerenza tutte le riforme che sto cercando di rendere definitive.
7) In questo senso va la creazione di una nuova Direzione per la Valorizzazione affidata ad un manager come Mario Resca che sta dando i primi frutti in termini di aumento dei visitatori nei nostri musei e in termini di nuove regole per la gestione dei servizi aggiuntivi. Dopo tre anni di proroghe sono partite il 30 giugno le nuove gare d’appalto per il rinnovo dei concessionari museali che amplieranno il numero di operatori in competizione tra loro e quindi un auspicato miglioramento dei servizi per il pubblico (biglietterie, bar, bookshop…), nonché gli introiti che saranno poi messi a disposizione della conservazione del nostro patrimonio storico e artistico. E’ di ieri il nuovo accordo per la Pinacoteca e l’Accademia di Brera, che dopo 35 anni consentirà al principale museo statale di Milano di divenire la più grande istituzione culturale del nord Italia e competere con le principali realtà museali internazionali.
8) In questo senso va la riforma degli enti lirici, enti dal punto di vista della spesa completamente fuori controllo e con un passivo totale accumulato in questi anni preoccupante. Nonostante le falsità che vengono divulgate e i proclami di battaglia nonché gli scioperi irresponsabili di qualche giorno fa, come se la lirica fosse l’ultimo ridotto del sindacalismo lontano dalla realtà, chiunque conosca questo settore sa perfettamente che se non avessimo votato questa riforma, i teatri lirici sarebbero stati destinati al fallimento e questo malgrado ogni anno vengano sostenuti con centinaia di milioni di euro tra finanziamenti statali, locali e privati. E malgrado il costo di accesso per il pubblico rimanga a volte proibitivo. Dopo l’approvazione della nuova legge, ho già messo al lavoro i miei Uffici con il compito di presentare al Parlamento i regolamenti governativi, con l’aiuto di esperti del mondo della cultura.
9) In questo senso va la riforma del finanziamento al cinema che vedrà il rinnovo fino al 2013 del tax credit e del tax shelter, cioè un sistema di finanziamento indiretto attraverso la defiscalizzazione che premia chi è in grado di attrarre capitali privati e che non impone nessuna forma di “controllo” politico.
10) Dicevo all’inizio che la crisi è stata anche un’opportunità di cambiamento;
11) Le riforme erano e sono necessarie, ma ora si impone un’attenzione particolare verso la cultura.
12) Chiederò al Presidente del Consiglio che si svolga una riflessione approfondita sulla cultura in una seduta del governo e l’insediamento di un tavolo istituzionale, con la sua presenza, quella del dottor Letta, di alcuni ministri come quello degli Esteri, del turismo, e quella del ministro dell’economia.
13) Dobbiamo essere consapevoli delle riforme che abbiamo realizzato, ma anche che il rapporto con il mondo della cultura non è un problema che riguardi solo la mia persona, ma l’intero governo e la maggioranza nel suo complesso.
14) A questo tavolo presenterò delle proposte necessarie per continuare a lavorare lungo la strada delle riforme: in caso contrario le stese riforme rischieranno di fallire.
15) La prima questione che intendo porre è quella di un provvedimento coerente di defiscalizzazione dei contributi alla cultura. Qui bisogna essere chiari: non è una richiesta che costa: è un contributo che la cultura offre al Paese. Non voglio più che le nostre richieste siano ritenute delle spese. Non dobbiamo essere noi a chiedere, ma le istituzioni a riconoscere il contributo che il mondo della cultura offre allo sviluppo del Paese. 3 esempi: sapete che ogni anno oltre 6 milioni di persone visitano il Colosseo? Sapete che la mostra del Caravaggio alle scuderie del Quirinale ha avuto finora oltre 600mila visitatori? Sapete che la notte del Caravaggio ha attratto ben 25 mila persone?
16) Andremo avanti sulla strada del cambiamento. L’autonomia dei Musei (dal punto di vista gestionale e finanziario) e un Piano per il Sud che presenterò ai governatori delle Regioni del Mezzogiorno (fondi FAS e quelli POIN che non sono stati ancora spesi o vanno rimodulati secondo diverse esigenze).
17) Sempre per quanto riguarda il contributo che il mio ministero offre allo sviluppo del Paese, voglio ricordare i programmi culturali raggiunti a livello internazionale (cito solo l’anno della cultura cinese che si inaugura il prossimo ottobre, l’anno della cultura russa e della cultura italiano che si svolgerà nel 2011).
18) Infine, la questione del 150 anni dell’Unità d’Italia, il cui fulcro non saranno le opere edilizie, ma la cultura e la memoria culturale del nostro Paese.
© 2021 MiC - Pubblicato il 2020-10-27 22:27:14 / Ultimo aggiornamento 2020-10-27 22:27:14