"Ci fecero scendere alla Stazione Tiburtina. Fummo spinti su un treno che sostava su un binario morto; ci caricarono sui carri bestiame. E quando fummo saliti li chiusero e li piombarono. Da fuori giungevano ordini, grida, implorazioni. […] A sera il convoglio si mosse. Per dove, non sapevamo. […] Eravamo una cinquantina nel vagone, stipati uno contro l’altro. Qualcuno aveva fatto un buco nel pavimento per i nostri bisogni. Un viaggio interminabile, sempre chiusi lì dentro, tranne quando il treno si fermava in aperta campagna e ci facevano scendere per i bisogni più urgenti; qualche volta riuscivamo anche a bere, sempre guardati a vista. Di mangiare non se ne parlava, dopo che avevamo consumato quello che c’eravamo portati. A Padova la Croce rossa bloccò il treno e ci fu portata una scodella di minestra. “Mangia, è buona, è calda” – esortava mia madre. Ma io non la volli assaggiare. Quanto l’avrei rimpianta quella minestra! Ma stavo guardando da una fessura, e vidi portare a terra un corpo; il cadavere di un uomo, il primo. […] Molti altri morirono su quel treno e rimasero lì fino all’arrivo".
Settimia Spizzichino, Isa di Nepi Olper, Gli anni rubati: Le memorie di Settimia Spizzichino, reduce dai Lager di Auschwitz e Bergen-Belsen, Comune di Cava de’ Tirreni, 1996, pp. 21- 25
SETTIMIA SPIZZICHINO nasce il 15 aprile del 1921 ed è la quarta di sei figli. In un primo tempo la famiglia vive a Tivoli dove il padre, Marco Mosè Spizzichino, è commerciante. Dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, persa la licenza del negozio, la famiglia decide di trasferirsi a Roma, presso le figlie Ada e Gentile ormai sposate.
Il 16 ottobre i nazisti irrompono nell’appartamento di via della Reginella 2, dove gli Spizzichino risiedono. Con la prontezza che la contraddistingue, Settimia riesce a salvare la sorella Gentile e i suoi tre figli dichiarandoli non ebrei. Lei viene però deportata con la madre Grazia Di Segni, le sorelle Giuditta e Ada, la nipotina Rosanna di solo 18 mesi.
All’arrivo a Birkenau solo Settimia e Giuditta superano la selezione, mentre le altre vengono mandate alle camere a gas.
Giuditta, purtroppo, non sopravvive al lavoro schiavo.
Settimia, immatricolata con il numero 66210, viene successivamente trasferita ad Auschwitz I per essere sottoposta a una terribile sperimentazione medica a cui miracolosamente sopravvive. Nel gennaio del 1945 deve affrontare anche la “marcia della morte” verso il campo di Bergen-Belsen, dove rimane fino all’arrivo degli inglesi. L’11 settembre rientra finalmente a Roma.
Settimia è una delle prime persone sopravvissute ad Auschwitz a testimoniare il dramma della Shoah, impegno che avrebbe onorato per tutta la vita.
Nel 1996 esce il suo libro: Gli anni rubati. Muore il 3 luglio 2000 a Roma.