In Irpinia un altro accesso agli inferi citato da Virgilio. #ioleggoDante
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InfoDescrizione
È de l'Italia in mezzo e de' suoi monti una famosa valle, che d'Amsanto si dice. Ha quinci e quindi oscure selve, e tra le selve un fiume che per gran sassi rumoreggia e cade, e sì rode le ripe e le scoscende, che fa spelonca orribile e vorago, onde spira Acheronte, e Dite esala. In questa buca l'odïoso nume de la crudele e spaventosa Erinne gittossi, e dismorbò l'aura di sopra.
(Virgilio, Eneide / libro settimo / vv. 563-571 / traduzione di Annibal Caro.)
Nella Valle d’Ansanto, cuore dell’antica Irpinia, e ombelico dell’Italia hunc locum umbilicum Italiae chorographi dicunt, come affermava Virgilio nel libro VII dell’Eneide, tra la Campania e la Puglia, sorge un piccolo lago che ribolle di vapori sulfurei che rendono l’aria irrespirabile et habet aquas sulphureas, ideo graviores, quia ambitur silvis.
Questo luogo, già sacro per i popoli Osci e Sanniti, era dedicato alla dea Mefite, divinità italica legata al culto delle acque e alla fecondità della terra e degli esseri umani. Per la dea madre Mefite, assimilabile a Cibele venerata sul monte Partenio, venne costruito un santuario sulle ripe soprastanti l’area sulfurea della Valle d’Ansanto, come testimoniano alcuni resti di strutture murarie, ancora parzialmente affioranti in superficie e gli schizzi e gli appunti di scavo raccolti alla fine degli anni ’50 da mons. Nicola Gambino. In età romana Mefite perse il suo ruolo di dea madre e venne considerata una dea malefica, legata al mondo dei morti, del sotterraneo e degli inferi. Il laghetto sulfureo venne identificato come il luogo di passaggio dalla terra agli inferi: Ideo autem ibi aditus esse dicitur inferorum… L’ingresso di quell’inferno che Dante percorrerà in compagnia di Virgilio e descriverà in tutti i suoi gironi.
La Mefite ed il suo mondo oscuro e malefico vennero tramandati non solo da racconti, favole, storie e leggende ma anche dalla mitologia romana con la storia di Plutone e Proserpina. Infatti si racconta che il dio dei morti, venne fuori proprio dal laghetto della valle dell’Ansanto per rapire Proserpina e farla poi sua sposa.
Allo stato della ricerca gli autori classici latini e greci non riportano notizie di un topos con esalazioni sulfuree in Irpinia, terra di mezzo dove si incontrarono e contaminarono le culture greche, osche, sannitiche e campane. Solo a partire dal I secolo a.C. scrittori come Cicerone [E non vediamo dovunque quanto varii siano i tipi di terra?/ Ve ne sono di mortiferi, come Ansanto in Irpinia (De Div. I, XXXVI,79)], Plinio [lo stesso ricorre tra gli Irpini ad Ansanto,/luogo presso il tempio di Mefite, dove chi entra muore.(Nat. Hist., II, XCV,208)], Varrone e Virgilio vennero coinvolti dal fascino oscuro della Mefite, alcuni solo per interesse geografico e naturalistico, altri per l’aspetto cultuale e religioso del sito. Nel I secolo d. C. Seneca, Claudiano e S. Agostino citarono le Ampsanti valles in alcune opere, e questi scritti insieme ad importanti reperti ritrovati come il Satiro in bronzo, iscrizioni, torce, monete, fanno supporre un incremento dell’attività cultuale della Mefite pur in quella età di grandi cambiamenti religiosi.
A tal proposito si tramanda che nel III secolo d.C. San Felice da Nola, nella sua missione di evangelizzazione giunse nei luoghi della Mefite e convertì gli abitanti alla fede cristiana. Gli adepti, per distruggere l’idolatria, rasero al suolo il tempio dedicato a Mefite. Al suo posto sorse la chiesa di S. Felicita e dei suoi sette figli martiri, una grande madre cristiana che sostituiva la grande madre pagana.
La ricerca archeologica nell’area della Mefite ebbe inizio nel XVIII secolo con l’arciprete di Rocca San Felice Vincenzo Maria Santoli che, oltre a conservare i reperti emersi dallo scavo, raccolse le sue osservazioni sul fenomeno naturale in un volume stampato a Napoli nel 1795. Una sistematica campagna di indagine venne coordinata tra il 1950 ed il 1960 dal prof. Oscar Onorato.
Gli scavi hanno portato alla scoperta del deposito votivo di quello che viene generalmente considerato come il santuario federale degli Hirpini, ubicato proprio ai margini del laghetto vulcanico, asciutto d’estate e ribollente d’inverno. L’imponente mole di materiali allora recuperata e attualmente conservata nella sala V del Museo Irpino di Avellino, costituisce ancor oggi una delle più ricche e interessanti testimonianze della cultura figurativa italica, offrendo un panorama fra i più vasti e completi sui processi di maturazione artistica dell’artigianato sannitico, dall’età tardo-arcaica fino alle soglie della romanizzazione. Numerose le statuette fittili raffiguranti diverse divinità, tra cui Eracle, Afrodite, Eros, Atena, Era in trono, Artemide e offerenti con cinghialetto o con patere, figure muliebri con bambini o guerriero italici con corazza anatomica. Il rinvenimento più importante è costituito dal gruppo di sculture lignee a figura umana a forma di erme o pseudoerme, vicine tipologicamente a quelle rinvenute a Palma di Montechiaro, in Sicilia, sempre in una sorgente sulfurea.
Le campagne di scavo condotte negli anni Settanta da Ivan Rainini nell’ambito dell’attività della Soprintendenza Archeologica di Salerno hanno poi portato all'individuazione, sulle pendici nord-occidentali della collina di Santa Felicita, di una cospicua parte del santuario riferibile alla prima metà del I secolo a.C.
Il complesso archeologico rilevato, tra cui si segnala la presenza di un piccolo e rudimentale altare di sagoma rettangolare, stando alle sequenze stratigrafiche e alla varietà dei materiali associati, soprattutto ceramici, indica una successione di tre distinte fasi cronologiche che dalla tarda età repubblicana giungono al IV secolo d.C. Lavori di ristrutturazione compiuti sull’edificio vengono eseguiti a partire dalla prima metà del I secolo a.C. con la messa in opera di un pavimento in grosse tegole rettangolari sistemati perpendicolarmente ad un grosso muro di terrazzamento costruito a secco che corre lungo l’asse est-ovest per una lunghezza di circa 23 metri, formando così una sorta di lungo corridoio. All’estremità occidentale di quest’area si segnala la presenza di un grande edificio porticato, del quale si sono messe in luce parte della struttura perimetrale est ed un lungo muro di fondo in cui sono inseriti tre plinti in pietra, uno dei quali conserva un frammento di colonna in laterizio. Edificato in opera cementizia, l’edificio è orientato sull’asse NE-SW, asimmetrico rispetto al lungo corridoio pavimentato con tegole fittili. Quest’ultimo doveva fungere da percorso di collegamento dall’edificio porticato al nucleo centrale del santuario, da localizzare in un’area pianeggiante situata a nord-est delle strutture finora scoperte.
Durante gli scavi che si sono succeduti sono state ritrovate diverse migliaia di monete databili dal IV secolo A.C. al XIX secolo d.C., un vero e proprio forziere di monete che raccontano come il culto della Mefite sia stato presente nella cultura meridionale per circa tre millenni.
Posizione
Luogo sconosciuto
- Avellino (AV)
Contatti
- Tel
- +39 089 318113
- rosamaria.vitola@beniculturali.it
- Website
- http://ambientesa.beniculturali.it