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Fenice, Mazzi: “Chi non lavora, non fa cultura”
Testo del comunicato
“Le agitazioni e i toni accesi allontanano il dialogo. La reazione, orchestrata dai lavoratori della Fenice contro il neodirettore musicale Beatrice Venezi, è sproporzionata e pericolosa. Troppo forzata, aggressiva. Anche l’atteggiamento verso di noi è irriconoscente. Siamo il Ministero della cultura che, numeri alla mano, ha avuto più cura e attenzione per il settore dell’Opera, da vent’anni a questa parte. Persino i sindacati lo hanno ammesso”.
Lo ha dichiarato il Sottosegretario alla cultura, Gianmarco Mazzi, che oggi sarà a Padova ai funerali di Stato, in una lettera aperta diretta ai musicisti della Fenice in agitazione contro Beatrice Venezi.
“Abbiamo portato la lirica italiana ad essere riconosciuta patrimonio mondiale Unesco, abbiamo affrontato e risolto il tema del contratto collettivo del settore, inchiodato dal 2004, e altre sfide ancora ci aspettano. Le fondazioni liriche sono quattordici enti complessi, godono di contributi pubblici pari a oltre 27 milioni di euro al mese, per un totale di 333 milioni all’anno, e nel 2023 sono state patrimonializzate con altri 271 milioni. La Fenice è finanziata ogni anno con 22 milioni. Come si dice, soldi che gli italiani pagano perché si lavori e si produca musica. Il nostro Ministero – sottolinea il Sottosegretario - opera dentro la legge e la legge, in queste istituzioni, affida le scelte artistiche ai sovrintendenti. Non è giusto interferire e noi non lo faremo. Di quale colpa si è macchiato il sovrintendente Colabianchi? Di aver pensato a un direttore musicale donna, nato nel 1990, diplomato in pianoforte a 20 anni, in direzione d’orchestra con lode a 25, da sempre in giro per il mondo a inseguire il suo sogno e dal 2024 direttore principale di un tempio internazionale dell’Opera, il Teatro Colòn a Buenos Aires. Verrebbe da dire, un talento italiano di rientro. Il Sovrintendente – continua Mazzi - non si è inventato nulla, ha semplicemente fatto tesoro dell’innovazione impressa da un suo predecessore che a Venezia nel 2011 nominò direttore musicale un ventiseienne, Diego Matheuz, dal curriculum scarno. In un’intervista Matheuz ammise candidamente di essere “un ragazzo del Terzo Mondo” e definì l’esperienza alla Fenice “molto difficile” e per lui “scuola di tutto, di vita e di musica”. A quel tempo, evidentemente, non si pensò di scegliere un illustre e blasonato direttore per consacrare la Fenice, si ragionò di fare esattamente l’inverso, utilizzare una prestigiosa istituzione musicale italiana per consacrare un giovane direttore, in quel caso venezuelano. Se al direttore Matheuz è stata data la possibilità, perché non darla al direttore Venezi? I musicisti non hanno mai avuto occasione di lavorare con lei e non sanno come si potranno trovare? Allora non la possono conoscere. Prima dell’esordio c’è un anno di tempo per presentarsi, collaborare, costruire un rapporto. Senza pregiudizi, con onestà e buon senso, tra artisti che vivono per la stessa passione e dovrebbero dialogare nella stessa lingua. Quella della musica - conclude - e del rispetto”.